Agorafobia in pandemia. Effetti imprevisti e imprevedibili delle restrizioni
Il pericolo non viene da quello che non conosciamo, ma da quello che crediamo sia vero e invece non lo è.
Mark Twain
Il termine agorafobia deriva dal greco, ed è composto delle parole agorà (piazza) e fóbos (paura), e denota, generalmente, la paura degli spazi aperti o dei luoghi affollati, come le piazze, appunto. Parlarne adesso risulta quanto mai opportuno essendo arrivato il momento, e ogni giorno di più, di ripopolare le piazze e rinunciare alla forzata, anche se rassicurante per certi aspetti, protezione delle nostre capanne.
Nota tecnica: una definizione
La descrizione dell’agorafobia che ci fornisce l’ICD-11, pubblicato dall’OMS è la seguente:
“L’agorafobia è caratterizzata da una marcata ed eccessiva paura o ansia che si presenta in risposta a diverse situazioni dove la fuga potrebbe essere difficoltosa o ricevere aiuto possa essere difficile, come usare trasporti pubblici, stare in mezzo alla folla, essere fuori casa da soli, stare in coda. La persona è molto ansiosa riguardo queste situazioni, per la paura di specifiche conseguenze negative, come attacchi di panico o altri sintomi fisici imbarazzanti o invalidanti. Le situazioni sono attentamente evitate, se non con il supporto di una persona di fiducia, oppure, in assenza di costui, vissute con intensa paura o ansia.
I sintomi possono perdurare per mesi e invalidare il funzionamento della persona in una o più aree della propria vita”.
Anche il DSM-V dell’APA, sostanzialmente concorda con questa definizione, pur con qualche minima differenza.
Come funziona e come si crea l’agorafobia?
L’agorafobia si struttura quando una persona mette in atto determinati comportamenti di evitamento. Tali comportamenti, all’apparenza innocui e dettati dalle migliori intenzioni, se reiterati, costruiscono un circolo vizioso che diventa un problema.
La prima insidia nella quale si può inciampare è quella di evitare una situazione temuta…
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